Parthenope: Napoli raccontata tra sacro e profano nella recensione del film di Sorrentino

NEL 1950, TRA LE ACQUE DI POSILLIPO, NASCE UNA BAMBINA, ALLA QUALE VIENE DATO IL NOME DI PARTENOPE, IN ONORE DELLA CITTÀ DI NAPOLI. DICIOTTO ANNI DOPO È DIVENTATA UNA SPLENDIDA RAGAZZA, ADORATA DA UN FOLTO STUOLO DI AMMIRATORI E DALLO STESSO FRATELLO MAGGIORE RAIMONDO, CON IL QUALE HA UN RAPPORTO ASSAI AMBIGUO.

Cresciuta in una famiglia benestante, sotto l’ala protettiva del ricchissimo padrino Achille Lauro, la giovane non vuole essere soltanto una venere scesa in terra, ma dimostrare di essere anche intelligente oltre che bella. Si iscrive così al corso di antropologia, dove le sue capacità attirano l’attenzione del severo professor Marotta, ma una tragedia familiare rischia di complicare drasticamente il suo percorso di studi. Al punto che comincia a interessarsi al mondo del cinema dopo che il suo fascino non è passato inosservato…

PARTENOPE, RECENSIONE: DI TUTTO E DI PIÙ

Tra i titoli più divisivi realizzati in carriera da Paolo Sorrentino, Parthenope è – per chi scrive – un affascinante viaggio che racconta Napoli non soltanto come luogo fisico, ma anche come idea e ideale, con il coming-of-age della protagonista che si tinge di molteplici spunti metaforici. Le due ore e rotti di visione ci trascinano in un’odissea sospesa, come spesso nello stile del regista, tra sacro e profano, con tanto di miracolo di San Gennaro a catalizzare l’ultima parte di visione.

UNA DONNA AL CENTRO DELL’UNIVERSO

In questo scontro di vizi e contraddizioni, virtù e debolezze, Parthenope è alpha e omega a cui tutto ruota attorno, con le suggestive inquadrature e il fascino del contesto – sia negli interni che, soprattutto, negli esterni – che mettono ancor più in risalto la presenza scenica di Celeste Dalla Porta, curiosamente milanese, che dopo una parte tagliata in È stata la mano di Dio (2021) torna a lavorare con Sorrentino, conquistandosi una meritata ribalta.

L’attrice classe ’97 oltre all’innegabile bellezza mette in mostra un talento sorprendente, bucando lo schermo e dando vita a una figura più complessa del previsto, adeguatamente supportata dalla sua controparte anziana affidata, nella fase epilogante, ad una altrettanto incisiva Stefania Sandrelli.

Per un film che scava con consapevolezza nei luoghi comuni, non risparmiando anche invettive più critiche e ciniche alla stessa città di Napoli e ai suoi abitanti, in un’estasi di amore e odio che può inoltre contare su un comparto tecnico, dalle musiche alla fotografia, ancora una volta d’eccellenza, ad uso e servizio di un approccio registico senza compromessi.

CONCLUSIONI FINALI

La Parthenope di Celeste Dalla Porta è la nuova Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, in un film che esaspera i connotati del suo cinema estetico ed estatico nell’omaggiare, pur non senza uno sguardo critico, la natia Napoli. Una ragazza nata dalle acque e destinata a scombinare quel mondo folkloristico, in un turbinio di sacro e profano che si fa densa materia di storie e microcosmi, parodia ed esaltazione di tradizioni popolari e luoghi iconici.

Tra alto e basso, tra gioie e dolori, si incammina questa giovane donna venuta dal mare, moderna dea pronta a conquistare e affascinare i mortali che trova sul suo cammino, in un percorso alla ricerca di se stessa che diventa metafora di una napoletanità da ritrovare e comprendere.

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