A tre anni di distanza dalla morte di sua madre, la ventiquattrenne Olivia scopre casualmente il fascino e la bellezza di Montezara, una fittizia comunità italiana della Val d’Orcia. Suo padre Eric, ex chef stellato diventato consulente per ristoranti, resta assai sorpreso quando scopre che Olivia intende acquistare una villa nel BelPaese attraverso il programma di ripopolamento dei piccoli borghi, che prevede la vendita delle case abbandonate alla cifra simbolica di un euro.
Naturalmente senza includere i numerosi e costosi lavori di ristrutturazione che queste dimore, spesso veri e propri ruderi, richiedono. Olivia riesce in ogni caso a convincere lo scettico genitore, il quale ha così modo di conoscere la bella prima cittadina locale Francesca, rimasta anch’essa vedova qualche anno prima. Tra i due scoccherà la fatidica scintilla…
LA DOLCE VILLA (LOVE IN THE VILLA), RECENSIONE: ITALIA SÌ, ITALIA NO
Già un film che nei primissimi minuti propina una sentenza del calibro di “nessun viaggio in Italia può essere una vacanza” non parte certo con il piede giusto. E come spesso accade quando dall’America decidono di girare produzioni nello Stivale, il rischio di scadere nel trash involontario è sempre dietro l’angolo.
La dolce villa, un titolo che è un programma, non fa molto per distinguersi dai titoli a tema, propinando nel corso dell’ora e mezzo di visione la canonica serie di cliché e luoghi comuni con i quali veniamo spesso visti all’estero. La bellezza della vita semplice, con il verde della natura rigogliosa e la buona cucina, nonché anche il buon bere, fanno così da sfondo alla forzata love-story tra i due protagonisti, che si ritrovano a innamorarsi mentre stanno cercando di rimettere a nuovo quella casa diroccata.
UN PLOT POCO ORIGINALE
Se soprattutto Violante Placido si impegna e riesce a risultare spontanea e simpatica nelle vesti di sindaca che si prende a cuore il caso dei nuovi arrivati, lo stesso non si può dire per il resto del cast: le figure secondarie, a cominciare dalle tre anziane di paese, sono infatti costruite su un’impronta caricaturale, mentre l’Eric di Scott Foley è il classico belloccio da copertina, con quel fascino sul brizzolato andante d’ordinanza, in grado di intercettare l’apprezzamento da parte del target femminile.
Il regista Mark Waters, che ricordiamo soprattutto per Quel pazzo da venerdì (2003) e il sequel Babbo bastardo 2 (2016), negli ultimi anni si è specializzato in commedie a tema, spesso con risultati deludenti. Qua l’operazione non brilla né per stile né per ritmo, limitandosi a seguire la stanca sceneggiatura nella sua riproposizione di risvolti prevedibili e di un romanticismo annacquato, con la ridente comunità toscana di San Quirico (e sprazzi di Pienza e Montepulciano) quale palcoscenico sfruttato senza troppa ispirazione.
CONCLUSIONI FINALI
Galeotto fu il rudere da ristrutturare, pronto a trasformarsi ne La dolce villa del titolo. Non soltanto per innescare la nascita dell’amore tra l’affascinante ex-cuoco e la prima cittadina, ma anche per quella figlia poco più che ventenne ancora in cerca del proprio posto del mondo.
In cima alla top 10 dei titoli più visti su Netflix, è una commedia romantica di routine nel riproporre gli stereotipi sul nostro Paese visti dallo sguardo d’Oltreoceano, con tutti i contro e i pochi pro del caso. Forzature narrative in serie e personaggi secondari incolori vanificano anche l’impegno di Violante Placido, unica nota lieta in un cast altrimenti anonimo quando non (in)volontariamente caricaturale.