Madame Web: la recensione del cinecomic flop senza ispirazione

Nel 1973 la ricercatrice Constance Webb si trova in Amazzonia per condurre degli studi su una specie di ragno dalla quale potrebbe ricavare una cura miracolosa, ma viene tradita dal suo collaboratore Ezekiel, che fugge con la scoperta e la ferisce mortalmente. Prima di abbandonare questo mondo, Constance viene soccorsa da una tribù indigena che tramite il morso di un aracnide riesce almeno a salvare la figlioletta che portava in grembo. Trent’anni dopo, all’oscuro delle sue reali origini Cassandra – Cassie per gli amici – lavora come paramedica a New York. Un giorno durante un intervento cade in acqua e viene salvata per miracolo, vivendo un’esperienza di pre-morte. Da quel momento inizia ad essere vittima di visioni, ma ritiene siano soltanto dei déjà vu dovuti al trauma di quanto recentemente affrontato. Ben presto i fenomeni si intensificano e in seguito alla tragica scomparsa di un suo collega Cassie comprende di poter intravedere il futuro. La sua strada si incrocerà con quella di tre ragazze adolescenti che sono finite proprio nel mirino di Ezekiel, pronto a tutto pur di eliminarle in quanto anch’esso “avvertito” da una sorta di nefasta profezia…

MADAME WEB: NELLA TELA DEL RAGNO, LA RECENSIONE
Quando tutti pensavano che non si potesse fare peggio di Morbius (2022), uno dei cinecomic più spernacchiati degli ultimi anni, ecco che un altro titolo dello Spider-Verse di casa Sony riesce a scalzarlo incredibilmente dal podio: Madame Web è stato un flop non soltanto per la critica ma anche al botteghino, mettendo a serio rischio l’universo ragnesco parallelo a quello del MCU.

Sicuramente la scelta di utilizzare personaggi poco conosciuti dal grande pubblico, nonché di realizzare titoli ambientati nel background dell’Uomo Ragno senza mai mostrarne il principale protagonista, non ha giovato all’operazione dal punto di vista commerciale, ma a mancare è proprio un’idea di cinema, anche considerandolo in quell’ottica più ludica pensata per il cinema blockbuster.

Un villain inesistente, con motivazioni alquanto fallaci, e un tris di comprimarie che fanno da supporto al personaggio del titolo interpretato da Dakota Johnson si ritrovano al centro di una trama confusa e farraginosa, che ha il grosso demerito di appoggiarsi eccessivamente a quel ripetuto deus ex machina narrativo che toglie sempre la Nostra fuori dai guai. Saper prevedere il futuro infatti rende tutto estremamente facile e paralizza di fatto la tensione sul nascere, sapendo già come qualsiasi conseguenza potenzialmente grave sarà abilmente evitata tramite tale stratagemma.

UN PROGETTO PRIVO DI ISPIRAZIONE
Una sceneggiatura che rasenta più volte il ridicolo involontario per via di forzature che vanno oltre ogni logica, unita a dialoghi che per profondità sembrano scritti dalla mano di un bambino, affossano un racconto che pur nelle sue premesse aveva delle potenzialità. Ma già l’approssimativo prologo avente luogo nel passato fa comprendere le coordinate stilistiche di un’operazione senza arte ne parte, poco lucida nell’approcciarsi al materiale di partenza, speranzosa che gli spettatori abboccassero al tranello.

Ma la tela ordita da Madame Web non è forte come quella di un ragno e si sfalda progressivamente in situazioni paradossali e prive di pathos: dall’incontro cruciale nel vagone della metropolitana alla corsa pre-finale su quattro ruote, fino a quell’epilogo che spalanca le porte a dei sequel che a conti fatti non vedranno probabilmente mai la luce, le due ore di visione sono prive di “ragione e sentimento”. Si è cercato di rendere la storia e chi la abita ruffianatamente popolari, ma il tentativo è fallito miseramente, riducendo la potenziale complessità dell’intreccio a un inerme lotta delle buone contro il supercattivo – un Tahar Rahim sprecatissimo – che lascia senza parole, non certamente in positivo.

CONCLUSIONI FINALI
Disponibile nel catalogo di Amazon Prime Video, Madame Web è uno dei cinecomic più superflui che il cinema commerciale hollywoodiano abbia partorito nell’ultimo decennio. Pop e femminista solo sulla carta, questo calderone che unisce alcune super-eroine minori dell’universo di Spider-Man è in realtà un giocattolone confuso e privo di sostanza, ingabbiato in una rete fragile e superficiale come i suoi schematici personaggi.

Azione e spettacolo ai minimi termini sono l'(in)degno contraltare di una sceneggiatura imbarazzante e inverosimile, frutto di algoritmi andati fuori controllo e di un approccio al filone fumettistico che poteva forse attecchire ancora ancora negli anni Novanta, ma non certo oggi dove lo stesso pubblico dei suddetti è abituato a ben altro. Anche approcciato senza troppe pretese, il film offre ben poco da salvare.

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